“L’eterno ritorno” nella San Giovanni in Fiore di Gioacchino e Oliverio
San Giovanni in Fiore era nota per i tappeti, i formaggi, i salumi, gli orafi, i sarti, i monaci, i minatori, gli operai specializzati, i lupi e gli emigrati. Oggi vi rimangono artigiani di grande livello, pure giovani, con riscontri lusinghieri perfino altrove e all’estero.
di Emiliano Morrone
Al momento, però, i personaggi più famosi legati al comune silano sono due: l’abate Gioacchino (da Celico) e il governatore della Calabria, Mario Oliverio, nativo del luogo. Direi che ci sono pure io tra le figure più rappresentative del posto, se non altro per il séguito virtuale da prima della crisi dei mutui subprime. In coscienza evito l’autocelebrazione, che avrebbe mera natura “testicolare”.
La beatificazione di Gioacchino è ferma perché il Papa emerito lo ricondusse nel novero degli storicisti, insieme a Hegel e Marx. Quella di Oliverio, invece, corre, avanza, ha il proprio culto: dai grigi compagni dell’ex Pci, convertiti al candido Suv, a pitoni e aspidi della sinistra barricadera, sino alla pletora di “attendisti” della «Legge (regionale, nda) 15» e dintorni, che vogliono, come comprensibile, la proroga dei loro contratti. I giovani che vivono e lavorano fuori non contano, però: non li calcola nessuno. Lo stesso vale per tanti loro genitori, che mettono in vendita la casa a tre, quattro piani per trasformarsi in nonni a tempo pieno, specie al Nord: a Cinisello Balsamo, Como, Mantova, Alba, fate voi. Di casi del genere avrei un nutrito elenco, che ometto di proposito.
Il punto vero è che chi resta deve sopravvivere. Intanto al brutto, all’osceno, allo scempio, a un’urbanistica illeggibile, sospesa tra il surreale e il patologico. Penso, per esempio, al rifacimento della via dedicata a Gramsci, che si rivolterebbe nella tomba, il cui marciapiede sembra una pista ciclabile per infanti e termina all’improvviso come il muso della vecchia Twingo. Penso, ancora, all’aspetto odierno della scuola Corrado Alvaro, alias “Zappa”, che per certi versi mi ricorda la Casa dello studente a L’Aquila, aperta sul davanti ed esposta allo sgomento silenzioso dei passanti. Penso, a compendio, al Centro per anziani vicino al municipio: infiltrato dall’acqua, per citare Guccini, che «ottusa e indifferente cammina e corre via, lascia una scia e non gliene frega niente». E penso che scuole e altre strutture pubbliche non hanno il certificato di agibilità, e nel merito l’unica risposta del Palazzo ricalca un “titolo” di Pirandello, «Così è, se vi pare».
Insomma, il tempo scorre e l’ufficio tecnico comunale si mantiene quello di sempre, che raccontavo una quindicina di anni addietro nei termini di una specie di limbo istituzionalizzato, nel quale risuonava un tipico motto calabrese raccolto da Bocca nel suo «Inferno»: «meglio di così non si può fare, peggio di così non si può andare». E sempre in tema di irrisolti: quanto rendono alla comunità il palazzo dello Sport e il bocciodromo in località «Pallapalla», quanto gli impianti sportivi del parco comunale e il teatro a due passi dall’Alberghiero lasciato ai ragni e alla polvere nostrani, quanto il Polifunzionale e il museo demologico che l’attivo Pietro Marra gestì con immutata passione? E inoltre: non doveva aprire una piccola Chirurgia ospedaliera sotto la guida del professor Pippo Brisinda, primario giù a Crotone? E infine: l’acqua del territorio deve perdersi come le chiacchiere o può servire per produrre energia, magari senza lucro dei “lombardi”?
Non intendo offendere qualcuno, ma credo che queste domande dobbiamo porcele tutti. Per me, tra parentesi, è una fatica scrivere di San Giovanni in Fiore per stimolare pallapalliani, pallapallofili e antipallapalliani. A riguardo il più delle volte devo a esercitare su me stesso notevole violenza, davanti alla tastiera e allo schermo del mio computer. Ma, come diceva il mio amico Paolo Pollichieni, «rieccoci»!
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