Anime salve: “e la lotta si fa scivolosa e profonda”
Riflessione pasquale sul futuro politico che ci attende
Pasqua 2018, il mio pensiero va ai disoccupati, agli sfruttati, ai precari, ai malati. Soprattutto a quanti di loro vivono in Calabria, nell’attesa di una possibilità, di una risposta, di una buona notizia. E il mio pensiero si volge agli emigrati, che hanno lasciato affetti, luoghi e sogni familiari per lavorare, sperare, costruire altrove: in Lombardia o in Germania, in Emilia, in Svizzera, in Canada, negli Usa, in Australia, in posti sperduti ed ignoti.
di Emiliano Morrone
Vengo dalla “capitale” italiana dello spopolamento, San Giovanni in Fiore (Cs), il comune montano (ancora) più abitato d’Europa. Qui non s’è ancora visto, come scrissi nel 2003, quando uscì “la Voce di Fiore”, il rinnovamento dello spirito e della comunità umana preparato, previsto dal profeta e abate Gioacchino da Celico (Cs), del XII secolo. Al contrario, il futuro è stato a mano a mano rinchiuso nelle tante case incompiute e vuote, abbandonate, sudate da operai, artigiani, paesani avventurieri finiti in Argentina, Brasile, nel nord delle fabbriche, delle periferie dormitorio; nelle conurbazioni del plusvalore, nei ghetti della calabresità connotata da una lingua impastata, domestica e assieme forestiera, ruvida, frammista. Come nella lettera del giovane sangiovannese alla madre, riportata da quel poeta straordinario del Maestro Peppino Oliverio ‘e “Jazzu”, in cui la informava d’aver trovato compagna: «fazzu l’ova cu…», «faccio l’amore con…».
Soprattutto, noi rimasti, e appesi ai ricordi di venti o trent’anni fa, non abbiamo compreso la portata del fenomeno migratorio attuale, che riguarda laureati e i genitori, i parenti. L’abbiamo accettato come inevitabile e poi normale, all’interno di una globalizzazione che subiamo incollati ai nostri smartphone e profili social, credendo di poter dominare il mondo e controllare il progresso, che invece ci illude, ci schiaccia, ci cancella identità, tradizioni, giudizio e sentimento.
Così, plagiati, manipolati, governati dall’industria della sovversione, abbiamo perduto il contatto con la realtà. E allora ci preoccupiamo di problemi remoti, inafferrabili: le scelte venture del capo dello Stato, le strategie del governatore della Calabria oppure il divario digitale. E dunque trascuriamo d’ufficio i nostri mali storici: la malasanità, la carenza spaventosa di lavoro e redditi, la ‘ndrangheta e la corruzione fatale nella pubblica amministrazione. Quindi rinunciamo a capirne le cause, a colpire i colpevoli, a ribaltare l’indifferenza cronica che quei mali preserva e alimenta.
Dobbiamo resistere alla menzogna, all’apparenza, alla distrazione. Adesso «la lotta si fa scivolosa e profonda».
Complimenti per gli articoli, sempre precisi, continua così