Dissesto a San Giovanni in Fiore, il sì della maggioranza
Domani il Consiglio comunale di San Giovanni in Fiore (Cs) voterà la proposta di dissesto, conseguenza della bocciatura del piano di rientro da parte della Corte dei conti. Il piano, va ricordato, è stato imposto dal sindaco Antonio Barile e votato dalla sua stessa maggioranza, ma con l’assenza dell’attuale capogruppo Ncd, Vincenzo Mauro.
di Emiliano MORRONE
Chi spera in un capitombolo dell’amministrazione, sappia che non ci sarà. Lo anticipiamo con cognizione: Forza Italia e i cosiddetti «ribelli» della maggioranza sosterranno il dissesto; lo voteranno dopo aver votato il rientro, fallito per rilevata incompletezza, agli atti del fascicolo.
Non succederà nulla, dunque: il sindaco Barile continuerà a governare a modo suo, a ritenere di non aver sbagliato nulla, a trincerarsi dietro all’incapacità e alla malafede imputate a una sinistra marchiata come iattura e come ostacolo. I sodali di maggioranza rimarranno fermi e muti, lasciando che Barile continui con i suoi metodi: di netta chiusura a ogni dissenso, dentro il municipio e fuori. Alla fine i suoi potranno addebitargli ogni colpa, dicendo che era lui a prendersela coi dipendenti comunali; lui a imporre la linea del caso; lui a proibire; lui a silurare il richiedente di turno.
Per tre lunghi anni il confronto politico è stato trasformato in scontro e l’avversario in nemico, con una strategia comunicativa e mediatica che ha stancato larga parte della città, delusa e scaricata. In breve, c’è stato il rinvio perpetuo delle questioni pratiche, quelle per cui viene eletto un sindaco, che poi nomina la giunta. Rispetto ai problemi concreti, il discorso del sindaco Barile è stato fisso: d’accusa impietosa per gli altri, definiti i responsabili di un disastro materiale e morale di proporzioni crescenti. Della controparte, tanto additata e vituperata, faceva parte anche Giovanni Iaquinta, oggi assessore alla Cultura dell’esecutivo locale. Ma la memoria si è rivelata un dettaglio inutile per la maggioranza comunale, che ha detto e smentito tutto con brillante rapidità: sull’ospedale, sull’Abbazia florense, sui rifiuti, sulla possibilità di uno sportello dedicato alle risorse europee e sugli equilibri interni.
Così, il sindaco Barile si è distinto per l’invettiva – a volte legittima, altre arbitraria, comunque urlata – e il disprezzo rivolti al centrosinistra, per un uso greve del potere e per il confinamento delle espressioni politiche della città, singoli, associazioni, movimenti, cui d’autorità è stato vietato uno spazio e lo stesso diritto di parola della maggioranza.
Da ultimo, ciò è avvenuto per un comizio elettorale di quattro parlamentari del Movimento Cinque Stelle, peraltro senza che il sindaco sia uscito allo scoperto. Bene ha fatto il senatore M5S Nicola Morra a chiamarlo per cercare un dialogo, normale in un contesto politico in cui tutto non sia preventivamente sbagliato, se proviene dall’avversario. E bene ha fatto il sindaco Barile a ribadire il suo «no», così manifestando senza infingimenti la propria riluttanza a un’idea di città aperta al confronto elettorale; sin qui mancato per la riduzione del discorso politico a gara dell’insulto, a turpiloquio voluto e sempre più laido.
Per finire, io difendo Barile sino alla fine: egli non è l’unico responsabile del dissesto finanziario e dello sfasciume pendolo in cui si trova San Giovanni in Fiore. Il sindaco, votato a furor di popolo, ha perduto la bussola. Perché il potere logora e scava interiormente: lacera, turba, inquieta chiunque. Quando ciò succede è indispensabile che nelle maggioranze si levino voci critiche e scuotano sindaci, presidenti o ministri con le ragioni della verità, come raccomandava Michel Foucault. A costo di rimetterci l’amicizia; ma con l’onestà, intellettuale, politica e morale di obiettare gli errori, le manie, le ripicche. Salvo poche eccezioni, i bariliani l’hanno evitato.
Eppure, l’amministratore pubblico è chiamato all’utile, al bene comune.
Come di solito succede fanno lo scarica BARILE.